E’ ben noto che i nanomateriali possono aumentare notevolmente l’interazione luce-materia e quindi le prestazioni dei dispositivi fotonici. D’altro canto, mantenere un’elevata sensibilità ed un’ampia figura di merito (FoM) è fondamentale per garantire elevate prestazioni. La larghezza di banda a metà altezza (FWHM) è uno dei parametri più comuni utilizzati per descrivere le caratteristiche spettrali di una risonanza ottica. Di conseguenza, la FoM, comunemente definita come il rapporto tra la sensibilità e la FWHM, viene spesso utilizzato come metodo per valutare le prestazioni dei dispositivi fotonici. Nonostante gli sforzi compiuti dai ricercatori per migliorare entrambi i parametri coinvolti nella FoM, vi è sempre stata la necessità di un compromesso tra loro: se la sensibilità aumenta, la FWHM aumenta di conseguenza a causa principalmente delle maggiori perdite dei nanomateriali; al contrario, se la FWHM diminuisce, la sensibilità risulta relativamente bassa a causa della limitata estensione del campo elettromagnetico del dispositivo verso il mezzo esterno. Questo effetto ha finora impedito ai biosensori ottici “label-free” di raggiungere bassi limiti di rilevabilità (LoD), che sono spesso richiesti per la diagnosi precoce delle malattie.

Perciò, questo aspetto rappresenta una sfida tutt’ora aperta. Attraverso un’estesa collaborazione internazionale, tra l’Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” del Cnr (Cnr-Ifac), Public University of Navarra (Spagna), Universidad Nacional de Colombia – Sede Medellín (Colombia) e Warsaw University of Technology (Polonia) è stata sviluppata una piattaforma biofotonica basata su una pila di strati nanoassemblati sotto forma di cristallo fotonico 1D, depositati su una fibra ottica singolo-modo lucidata lateralmente, per il rilevamento di biomolecole in fluidi biologici complessi.

Il dispositivo, integrato in un chip microfluidico sviluppato ad hoc, si basa sulla generazione di risonanze ottiche di tipo “Bloch surface wave”. La scelta di una coppia di nanomateriali aventi un’elevato contrasto dell’indice di rifrazione (RI), associato a basse perdite, consente non solo di ottenere un’elevata sensibilità, ma anche una stretta FWHM della risonanza, portando ad un significativo miglioramento della FoM. Questo approccio consente quindi di sviluppare un sistema di biosensing che permette di rilevare biomolecole in fluidi biologici complessi con prestazioni senza precedenti con le fibre ottiche. La capacità di biosensing è stata valutata rilevando l’immunoglobulina G (IgG) nel siero umano a concentrazioni bassissime, ottenendo così un LoD record di 70 aM. Un biosensore in fibra ottica in grado di raggiungere un LoD straordinariamente basso, nel range dell’attomolare, non è solo un risultato scientifico notevole ma può anche essere considerato un potente strumento per la diagnosi precoce delle malattie su larga scala.

Per informazioni:
Francesco Chiavaioli
CNR – Istituto di fisica applicata “Nello Carrara”
Via Madonna del Piano 10, 50019 Sesto Fiorentino (FI)
f.chiavaioli@ifac.cnr.it
055/5226318

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